L'Assemblea Regionale Siciliana, nella seduta del 1° marzo  2011,
ha approvato  il  disegno  di  legge  n.  246  dal  titolo  «Modifica
all'articolo 10  della  legge  regionale  6  maggio  1981,  n.  98  e
successive  modifiche  ed  integrazioni,  in  materia  di   attivita'
all'interno dei parchi naturali di rilevanza regionale. Proroga delle
concessioni - contratto per gli operatori economici  danneggiati  dai
fenomeni vulcanici del monte Etna", pervenuto a questo  Commissariato
dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell'art.  28  dello  Statuto
speciale, il successivo 4 marzo 2011. 
    L'articolo 2, che di seguito si trascrive, da'  adito  a  censura
per violazione degli articoli 11, 97, 117, 1° comma e 2° comma  lett.
1) della Costituzione, nonche' degli articoli 14 e 17  dello  Statuto
Speciale per interferenza in materia di diritto civile. 
    Art. 2 (Proroga delle  concessioni-contratto  per  gli  operatori
economici danneggiati dai fenomeni vulcanici del monte Etna). 
    1.  Le  concessioni-contratto   rilasciate   da   enti   pubblici
nell'interesse di operatori economici le cui  strutture  siano  state
danneggiate dai  fenomeni  vulcanici  del  monte  Etna,  verificatisi
nell'ottobre 2002, in corso alla data del  27  ottobre  2002,  ovvero
rilasciate nel periodo  emergenziale,  sono  prorogate,  ai  medesimi
patti e condizioni, per un periodo uguale alla durata dello stato  di
emergenza; per quelli stipulati nel periodo emergenziale i termini di
durata decorrono dalla scadenza  dello  stato  di  emergenza,  previa
rivalutazione dei canoni e/o dei corrispettivi secondo/ i dati ISTAT. 
    La norma sopra riportata prevede che le concessioni  -  contratto
gia'  rilasciate  da  enti  pubblici,  (peraltro   non   puntualmente
individuati) nell'interesse di operatori economici le  cui  strutture
abbiano subito danni (non quantificati ne' specificati) a causa delle
eruzioni dell'Etna verificatesi  nell'ottobre  2002,  nonche'  quelle
rilasciate nel  periodo  emergenziale,  siano  tutte  indistintamente
prorogate senza alcuna condizione, con termini di  durata  variabile,
attualmente non determinabili,  atteso  che  lo  stato  di  emergenza
dichiarato  nel  2002  non  e'  ancora  cessato  e  da  ultimo,   con
l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3916 del  30
dicembre 2010, e' stato prorogato sino al 31 dicembre 2011. 
    Preliminarmente non ci si puo' esimere dal rilevare che la durata
di  ogni   singola   concessione   e'   elemento   fondamentale   del
provvedimento concessorio, alla scadenza del quale e'  diritto-dovere
dell'amministrazione  competente  verificare  l'eventuale   mutamento
delle   condizioni   territoriali   ed   ambientali,   nonche'    gli
aggiornamenti intervenuti sul quadro normativo di riferimento,  prima
di potere assumere una qualsiasi decisione. 
    Il limite  temporale  di  una  concessione  e'  dunque  il  punto
cronologico  oltre  il  quale  l'intervento  concessorio   cessa   di
esistere. 
    Le concessioni, una volta venute a scadenza,  richiedono  infatti
il rinnovo di un procedimento del tutto  autonomo  secondo  procedure
concorsuali, che non possono essere derogate a favore del  precedente
destinatario del provvedimento, non sussistendo per l'amministrazione
alcun obbligo di accedere alle richieste di queseultimo, ben potendo,
la stessa, determinarsi in senso negativo sia per ragioni  soggettive
sia per motivi di pubblico interesse (Consiglio di Stato  Sezione  IV
sentenza n. 952 del 15 giugno 1998; TAR Toscana Sezione  I,  sentenza
n. 79 del 24 aprile 1997; Consiglio di Stato sezione VI, sentenza  n.
168/2005). 
    La disposizione teste' approvata appare in palese  conflitto  con
il principio di imparzialita' e buon  andamento  dell'amministrazione
di  cui  all'art.   97   Cost.   giacche'   impedisce   agli   organi
amministrativi competenti di svolgere una adeguata istruttoria  e  di
procedere  alla  ponderazione  dei  diversi  interessi   coesistenti,
privilegiando invece quelli economici del privato imprenditore. 
    La  disposizione  «de  qua»  appare  censurabile  anche  in  base
considerazione, svolta da codesta Corte nella recente sentenza n. 302
del 2010, secondo cui "alla vecchia concezione statica  e  legata  ad
una  valutazione  tabellare  ed  astratta  del  valore  dei  beni  di
proprieta'  pubblica,  si  e'  progressivamente  sostituita  un'altra
tendente ad assicurare i valori di tali beni  a  quelli  di  mercato,
sulla base cioe' delle potenzialita' degli stessi di produrre reddito
in un contesto specifico". 
    E' di tutta evidenza che il disporre «ope legis» la  prosecuzione
dei rapporti concessori antecedenti al 2002 alle medesime  condizioni
e di  quelli  successivi  con  l'adeguamento  agli  indici  ISTAT  di
rivalutazione, non consente  agli  enti  pubblici  interessati  dalla
norma di potere adeguare i canoni di godimento dei  beni,  rendendoli
piu' equilibrati rispetto a  quelli  pagati  in  favore  di  locatari
privati e di incrementare al contempo le entrate (sentenza C C n  488
del 1997). 
    L'eventuale incremento del canone nella linea  di  valorizzazione
dei beni pubblici, come  assicurato  da  codesta  Corte  nella  prima
citata sentenza n. 302/2010, "mira ad una loro maggiore  redditivita'
per  l'ente  territoriale,  vale  a  dire  per  la  generalita'   dei
cittadini,  diminuendo  proporzionalmente  i  vantaggi  dei  soggetti
particolari che assumono la veste di concessionari". 
    La disposizione teste' adottata inoltre genera una disparita'  di
trattamento tra gli operatori economici in violazione dei principi di
concorrenza e di liberta' di stabilimento, dal momento che  non  sono
previste  procedure  di  gara  al  fine  di  tutelare   le   esigenze
concorrenziali  delle  imprese  che  non  siano   titolari   di   una
concessione scaduta o in scadenza. 
    Codesta   Eccellentissima   Corte,    con    ormai    consolidata
giurisprudenza (ex plurimis sentenze n. 180, 233 e 340 del 2010),  ha
sancito che leggi regionali che prevedono un diritto  di  proroga  in
favore di soggetti gia' possessori  di  concessioni,  consentendo  il
rinnovo automatico delle medesime, violano l'articolo 117,  1°  comma
della  Costituzione,  per   contrasto   con   i   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e  di
tutela della concorrenza. 
    L'automatico rinnovo determinerebbe, infatti, "una disparita'  di
trattamento tra operatori economici in violazione  del  principio  di
concorrenza  dal  momento  che,  coloro   che   in   precedenza   non
utilizzavano beni pubblici non hanno la possibilita',  alla  scadenza
della concessione di prendere  il  posto  del  vecchio  gestore".  La
disciplina regionale non  solo  viola  il  principio  di  parita'  di
trattamento, che si ricava dagli articoli 49 e seguenti del  Trattato
sul  funzionamento  dell'Unione  Europea  in  tema  di  liberta'   di
stabilimento, favorendo i vecchi  gestori  concessionari,  a  scapito
degli  aspiranti  nuovi,  ma  anche  impedisce  l'accesso  di   altri
potenziali operatori al mercato, ponendo barriere  all'ingresso  tali
da alterare la concorrenza tra imprenditori (sentenza C.C. n.  1  del
2008). 
    Le concessioni di beni pubblici di rilevanza economica, in quanto
idonee a fornire un'occasione di guadagno agli operatori  del  libero
mercato sono soggette all'applicazione delle norme sulla  concorrenza
ed  all'articolo  81  del  Trattato  sul  funzionamento   dell'Unione
Europea. Conseguentemente la  regola  generale  che  deve  presiedere
all'attribuzione della concessione e' la  gara  pubblica  perche'  la
procedura  selettiva  e'  l'unica  rispettosa  della   tutela   della
concorrenza, in quanto consente l'apertura del mercato  a  tutti  gli
operatori interessati. Tale meccanismo e' da  ritenersi  peraltro  il
piu'  coerente  con  la  logica  dell'ottimizzazione  delle   risorse
disponibili che deve guidare le amministrazioni locali e regionali. 
    La proroga, invero, potrebbe impedire l'affidamento a  condizioni
economicamente piu' vantaggiose  rispetto  a  quelle  originarie  per
l'ente destinatario del relativo canone. 
    La Commissione  europea,  peraltro,  nel  corso  della  procedura
d'infrazione n. 4908/2008 per il mancato adeguamento della  normativa
nazionale in materia di  concessioni  demaniali  ai  contenuti  della
Direttiva n. 123/2006/CEE, ha evidenziato che la preferenza accordata
al  concessionario  uscente,  nonche'  il   meccanismo   di   proroga
automatica della concessione alla scadenza del  provvedimento,  oltre
ad essere in contrasto con l'articolo 43 del Trattato CE e' difforrne
anche dall'articolo 12 della prima menzionata Direttiva. La richiesta
della Commissione europea alle autorita' italiane di  adottare  tutte
le misure necessarie per eliminare gli elementi  di  contrasto  della
normativa interna con  il  diritto  comunitario  e'  stato  posto  da
codesta Corte a motivazione  della  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale di una legge regionale che autorizzava la  proroga  di
preesistenti concessioni di beni pubblici nella considerazione che  i
principi  comunitari  della  liberta'  di  stabilimento  e   di   non
discriminazione  sono   direttamente   applicabili   nell'ordinamento
interno a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme interne  o
comunitarie (sentenza C.C. n. 180/2010). 
    In proposito  si  richiama  la  circolare  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri n.  945  del  1°  marzo  2002  con  cui  nello
sviluppare il contenuto della comunicazione della Commissione europea
del 12 aprile 2000, e' stato rimarcato che, "sebbene il Trattato  non
contenga alcuna esplicita menzione delle concessioni, molte delle sue
disposizioni, che presiedono e garantiscono il buon funzionamento del
mercato unico,  sono  rilevanti  e  vincolanti  e,  specificatamente,
quelle attinenti ai principi di non discriminazione,  di  parita'  di
trattamento,   di   trasparenza,   di    mutuo    riconoscimento    e
proporzionalita'   quali   risultano   dalla   costante    tradizione
giurisprudenziale  della  Corte  Europea".  Principi   questi   tutti
disattesi dalla norma regionale che si reputa pertanto in  violazione
degli articoli 11 e 117, comma primo della Costituzione. 
    La  disposizione  infine  e'   censurabile   sotto   il   profilo
dell'interferenza in materia di diritto civile giacche'  impone  alle
parti  modifiche  autoritative  a   contratti,   connessi   ad   atti
concessori, stipulati  originariamente  per  una  durata  prefissata,
ponendo  di  fatto  a   loro   carico   obbligazioni   non   valutate
preventivamente  ne'  negoziate  all'atto   della   conclusione   del
contratto.